Commento a "Come avviene la guarigione" di Neville Symington
Guelfo Margherita (Napoli)(1)
Benché io sia un analista SPI, fin dalla mia associatura (1975) mi sono attivamente occupato principalmente di quelle attività mentali che percolando al di fuori dei luoghi dove dovrebbero essere istituzionalmente contenute, ad esempio il cervello degli individui o i setting classici, intrecciano reti e definiscono enti trans-personali magari dotati di vita propria; cioè di quelle attività mentali complesse che in genere non sono in grado, se non marginalmente, di suscitare l'interesse della ricerca psicoanalitica canonica.
Le supervisioni con Francesco Corrao, lo studio di Bion (il primissimo e poi specie l'ultimo), gli anni fondativi del Pollaiolo, il lavoro in manicomio (come istituzione e come psicosi), i soggiorni negli ashram indiani mi hanno aiutato ad uscire dalla mia testa ed ad andare a riprendermi quei miei meccanismi mentali che io, come chiunque altro, lascio invischiati nei gruppi, nelle istituzioni, nei sistemi sociali e perchè no nelle psicosi, di cui essi meccanismi sono nel frattempo divenuti prerequisiti fondanti.
Sono da allora sempre stato particolarmente affascinato da quello stato mentale gruppale oniroide, che mi appare affine alla meditazione profonda, che con Bion potremmo chiamare “rêverie”; in questo stato un soggetto, per esempio un gruppo, può esplorare il suo piacere di esistere (qualcosa di simile all'esperienza oceanica), senza verbalizzazioni, e di coinvolgere in ciò i suoi individui componenti (una sorta di cenestesi proto-mentale che può coinvolgere indirettamente anche il corpo). Credo che questo sia uno dei meccanismi principali in cui esso sviluppa, tra altre funzioni, una che potrebbe configurarsi come terapeutica sia per la cenestesi gruppale, sia per quella degli individui che il contesto contiene.
Mi ha fatto molto piacere, allora, rientrare nell'istituto che mi ha psicoanaliticamente formato per presentare Neville Symington, un vero alfiere post-bioniano ed un prezioso lavoro, il cui senso per me è concentrato in una delle sue ultime frasi che totalmente condivido perchè la sento collocata proprio in questo milieu trans-personale che mi intriga: “il momento della guarigione è quando due effimeri esseri umani (paziente e analista) prendono parte al medium che entrambi condividono”. Le mie parole per dire la stessa cosa potrebbero essere: “ambedue si perdono nel confluire nel sovra-sistema dinamico che li ingloba fondendoli come parti di se”. Sembra dunque evidente la nostra passione comune sia per lo specifico dell'argomento (che cosa è che cura?) e sia per i modelli, bionianamente “mistici”, che proviamo ad usare per comprenderlo, validi sia nell'analisi classica che in quella gruppale.
Dice il vecchio filosofo taoista Chuang Tzu: “vorrei tanto incontrare qualcuno che dimentica la parola e dialogare con lui”. Un incontro che non si svolga nell'universo differenziante dei punti interrogativi (???) dell'indagine; ma in quello fusivo dei punti esclamativi (!!!) della simpatia.
Incontro Neville Symington, fin dalle prime righe del suo articolo, proprio in questo sterminato universo comunicativo al di là delle parole e mi pare di conoscerlo da sempre; me lo configuro allora come un personaggio di Calvino (magari delle Cosmicomiche): un signore che entra in uno spazio-tempo per tracciarvi un punto. Lo spazio-tempo è quello della mia mente ed ora contenitore e contenuto, cioè mente e punto, iniziano un'intensa attività di mutua riflessione simbiotica. Non sarò quindi obiettivo nel parlare di lui e del suo lavoro ma subiettivo quel tanto da poter descrivere questa interazione e quello che mi ha dato dal mio punto di vista. Sto in fondo parlando della complessa relazione di transfert-controtransfert che si istituisce tra la mia mente ed il suo lavoro che proprio ora sto leggendo.
Ogni nuovo incontro, per esempio quello tra paziente ed analista all'inizio di una seduta, azzerati i pregiudizi, si presenta come un vuoto da riempire di conoscenza.
Lo strumento usato, specie in psicoanalisi, è quello della parola (talking cure). Neville, ed io sono con lui, teme che la parola possa però diventare gergo ( - K ) e rafforzare invece che dirimere il pregiudizio. Questa operazione aiuterebbe la stabilità (ad es. : finalmente l'ho capito!), non la tensione alla conoscenza (ad es.: ma cosa cavolo mi sta dicendo?).
Le parole sono comunque strumenti indispensabili per rendere credibili incontri al limite dell'incredibile; penso ad esempio a quelli che caratterizzano l'incomprensibile stranezza contestuale dell'inizio di ogni seduta per come può apparire ad un osservatore esterno. Per farmi aiutare a descrivere la cronaca di uno di questi, cioè quello tra il pensiero di Neville (♂) e la mia mente (♀), che è poi l'incontro su cui riferisco, proverò ad usare allora i Sette Serventi bioniani (chi, cosa, come, quando, dove, perché, fino alla curiosità) e alcuni dispiegamenti topologici.
Comincio con questi ultimi:
mi piace pensare che il punto tracciato da Neville nella mia mente frema per la passione (mito e sensi restano sullo sfondo ma non estranei). La passione delle sue intense fertilità produttive insite nella totipotenzialità spazio-temporale dell'universo concentrazionario tipico dei punti. Queste tensioni esplodono ora nel contesto del mio cervello. Si individuano così, in questo spazio, mettendolo in tensione ed ordinando il suo caos pre-deterministico, a-priori kantiani che definiscono un prima e un dopo e coordinate cartesiane che contengono nuovi punti con cui mettere in relazione il punto originale per costruire così magari numeri, parole come strumenti per esplorare nuove linee, piani, spazi e, perché no, anche gli iperspazi multidimensionali cari alle topologie in cui il mio indimenticato maestro Ignacio Matte Blanco (1975) ha collocato la possibile pensabilità dell'inconscio come insiemi infiniti.
Sto provando a dire che la topologia mentale che Neville ha infuso nel punto in cui si concentra il suo articolo, sta mettendo in fase, in risonanza (per simpatia e somiglianza) la polidimensionalità della mia organizzazione mentale profonda. Sento che lo capisco, anzi meglio lo comprendo in una sovrapposizione elastica di topologie isomorfe. Le parole possono essere ora gli oggetti concreti da utilizzare per asimmetrizzare questo campo affettivo simmetrico e tradurre, come dice Matte Blanco, nel nostro corpo, nei nostri sensi e nel nostro mondo reale asimmetrico la polidimensionalità del mondo simmetrico per portarla nella tridimensionalità di quello reale. Forse solo così, con queste deformazioni topologiche e con perdita entropica di affetto, possiamo far entrare nel campo cosciente ciò che accade nel mondo fusivo-affettivo-onirico. Compiere quell'operazione che Matte Blanco ritiene fondamentale, per raccontare un sogno, di ripiegare l'universo inconscio polidimensionale per farlo entrare nella coscienza tridimensionale.
Ho forse così descritto un'operazione geografica che permette di individuare confini e strumenti, prerequisiti sensoriali, per permettere ai sette serventi di svolgere il loro lavoro. Varcando i confini di questo spazio di pensabilità le figure geometriche descritte, che popolano questa topologia, possono essere digerite e concretizzarsi in quegli oggetti meno aleatori che sono le parole per metterle al servizio della comunicazione come veicoli. Trovarsi cioè, in questa operazione di traduzione, il loro pensatore.
La comunicazione analitica, tra paziente e analista, usa queste parole in una strana atmosfera determinata dalla rottura del senso logico usuale per via delle libere associazioni del paziente e dei tentativi di ricostruzione interpretative dell'analista in un'area di attenzione fluttuante; uno scambio onirico fuori del reale, tutto nel virtuale. Estrarre il senso, per esempio, di una seduta, potrebbe voler dire in questo campo caotico, simmetrico, onirico, individuare alcuni interrogativi. Symington sembra indicarcene alcuni e ci dice: c'è qualcuno che non sa cosa non sa e prova dolore (una specie di io che ci faccio qui; lo spaesamento di Bruce Chatween in Patagonia); c'è qualcuno che costruisce e parla qualcosa per uscire dal dolore. Forse sono la stessa entità relazionale che cerca di ricostruirsi oscillando tra il campo mentale del paziente e quello dell'analista.
Può questo parlare essere il veicolo della guarigione? Come può esserlo? Symington non sembra credere molto che questo possa avvenire attraverso qualcosa che, vista dal di fuori, sembra una normale conversazione, anche se un po' strana; il dubbio d'altronde gliel'ha fatto venire proprio Bion in una supervisione. Spesso la nuvola di una verità incomprensibile, perché troppo dolorosa, viene aggirata, evitata e la parola diviene un gergo per rafforzare sicurezze, ruoli di curanti e curati e mascherare l'ignoranza.
Egli ci dice: “sarebbe piuttosto imbarazzante se, dopo sette anni di training per diventare analista, qualcuno mi chiedesse che cos'è che guarisce il dolore mentale del paziente e io non lo sapessi, così dico con aplomb e fiducia in me stesso che io ascolto il materiale clinico del paziente e poi faccio un'interpretazione e questo apporta il cambiamento psichico. Io gonfio il petto e credo che il mio interlocutore sia adeguatamente colpito. Sfortunatamente lo è spesso.”
Allora in questo brano egli dà una comunicazione di gergo all'interlocutore che l'interroga sull'interpretazione, una comunicazione che non aumenta il tasso di verità nella sua relazione con lui; un'operazione che ci descrive come una fascinazione suggestiva. Nel rapporto diretto con noi che lo leggiamo, egli ci coinvolge invece in un'atmosfera emotiva di grande simpatia autoironica che ci pone a contatto diretto con la sua verità. C'è allora in questo brano una comunicazione di contenuto, lineare e diretta, che è povera e falsa ed una comunicazione di contesto, circolare e diffusa, che è ricca e vera. Questa non avviene attraverso la parola ma magari con una strizzatina d'occhio.
Credo che quest'ultimo sia un uso terapeutico della comunicazione. Una specie del linguaggio dell'achievment (mal tradotto come il linguaggio dell'effettività, sarebbe meglio linguaggio della realizzazzione). Un linguaggio del fare, non del sostituire, in cui un'emozione (em/azione) ci tocchi direttamente dentro coinvolgendoci.
Il brano di Neville ci propone una doppia oscillazione del linguaggio dentro cui andare a cercare la verità mutativa: 1. oscillazione tra verità e bugia 2. oscillazione tra spiegazione ed emozione. La bugia cioè che egli dice all'interlocutore gonfiandosi il petto e la verità che invece dice a noi col suo racconto. E poi la spiegazione che cerca di dare a lui senza crederci molto e l'emozione che dona a noi.
Può forse essere fatta di questo una conversazione che può guarire.
Per cercare di capire come funziona l'interpretazione provo, nei campi topologici che l'omino di Calvino ha tracciato nella mia mente, ad incrociare le traiettorie dei linguaggi di comunicazione con quelle dei processi di guarigione: le coordinate le ricavo dalle parole, ma forse anche, come abbiamo visto, da qualcosa che sta al di la delle parole(2).
Scopro ora che gli interrogativi che mi pongo potrebbero essere: l'interpretazione è una comunicazione tra chi? Per fare cosa? Usata come e dove e magari perché? I sette serventi mi aiuteranno a fare un po' di chiarezza e ad avvicinare asintoticamente al piano degli eventi reali una realtà che è diventata onirica perché si è allargata a comprendere anche i suoi livelli virtuali (frattalici) che le hanno allora imposto quelle deformazioni topologiche che Matte Blanco ci ha mostrato caratterizzare l'inconscio?
Neville divide la sua relazione in tre parti per indagare, lui lo chiama, "il misterioso processo tramite il quale una persona apporta guarigione a un'altra":
- qual'è la natura del problema che conduce una persona nello studio di uno psicoanalista? E mi pare che ciò abbia a che vedere col dolore mentale, con il chi, col cosa, con il dove.
- Qual'è lo strumento che permette allo psicoanalista di alleviare il problema? Forse si tratta dell'interpretazione, ma quale? Data come e quando?
- Esiste un momento della guarigione? Questo mi sembra abbia a che vedere col quando, il come e il perché.
Possiamo chiamare il primo punto un'indagine sull'ignoranza.
Un amico di Neville, recatosi a Los Angeles per fare un'analisi con Bion, gli dice che non sa perché è venuto; Bion risponde che se lo avesse saputo non avrebbe avuto bisogno di venire.
Anche l'analista d'altronde, se si libera di memoria e desiderio, per quanto “si gonfi il petto” non si trova come abbiamo visto in condizioni migliori in quanto ad ignoranza. Forse ambedue condividono quello spazio di sgomento impaurito nei confronti del mistero che riempie la stanza in direzione di “O”.
Dunque, ci racconta Symington, Felicity crede di essere infelice perché pensa che il dolore mentale che prova sia dovuto al fatto che Rudolf è geloso. Nel campo affettivo creato da Frederik (il suo analista) ella comincia a scoprire qualcosa che non sa, cioè che cosa potrebbe essere l'amore. Rudolf era geloso perché non si sentiva amato da una lei carente della capacità d'amore. L'elemento trasformativo è stato la diretta acquisizione personale della conoscenza del problema che prima di Frederik era nebulosa. Felicity ha scoperto che mancava qualcosa alla sua costituzione emozionale (un deficit che Frederik è riuscito a comunicare e risvegliare).
Comunicare come, quale comunicazione tra lei e Frederik ha generato la capacità di amare?
Neville ipotizza una comunicazione tra qualcosa che chiama “organi dell'emozione” presenti, magari silenti nel paziente, ma attivi nell'analista.
Egli dice: “proprio come l'organismo umano ha una varietà di organi necessari per il proprio funzionamento fisico, così vi sono degli organi delle emozioni, che sono necessari affinché la persona possa comunicare sia con gli altri che con se stessa: la capacità di intuire al di là del verbale, la capacità di amare, la capacità di provare sentimenti, di riflettere, l'abilità di provare empatia verso gli altri, quella di astrarre. Questi organi delle emozioni sono presenti in tutti gli esseri umani e a volte sono pienamente funzionanti, altre volte sono presenti come capacità non sviluppate.”
Cosa fa funzionare questa comunicazione tra organi dell'emozione di paziente ed analista? Possiamo metaforicamente chiamare in causa: capacità di sintonia, messa in fase, unisono, risonanza, induzione elettromagnetica, conduzione di volume rispetto a quella di fibra, imitazione, empatia, neuroni specchio, ecc. Sappiamo comunque che la comunicazione non è avvenuta attraverso parole chiarificatrici come comunicazione di contenuti, ma in una modalità non verbale come qualcosa che proviene dal contesto, dall'atmosfera. Un sentire in comune prima che un capire.
Il secondo punto riguarda quale strumento usi lo psicoanalista per veicolare una comunicazione che non si regga sulla trasmissione di una informazione verbale, cioè un'interpretazione classica. Per esempio, quale comunicazione, e data come da Frederick, ha permesso a Felicity di rendersi conto che ora lei era in grado di poter cominciare ad amare.
Penso che Neville ci stia qui parlando di una specie di rêverie, che però lui non nomina; una pratica che qualunque analista formato si è allenato ad usare coi suoi pazienti apprendendola da una qualunque madre sufficientemente buona, magari la sua, col suo bambino. Quanto più una madre o un'analista sono in grado di apprendere dalle esperienze, anche dalle più dolorose e negative, di tollerare le angosce, sia le proprie che quelle del bambino, che quelle del paziente, tanto più essi sono in grado di istituire relazioni che reggono dentro i traumi e tollerando la precarietà generano quindi fiducia ed attaccamento.
Per essere in grado di fornire questo contesto di rêverie al dolore mentale, proprio e del paziente, e permettere ai suoi organi emozionali di comunicare con quelli del paziente, l'analista deve acquisire nella sua formazione la capacità di riflettere sulla propria esperienza, anche la più negativa, e di accoglierla, magari facendo appello alla propria capacità negativa. Riuscire a tenere aperto un dialogo interno con l'esperienza di parti di se, specie quelle che gli ritornano dalla relazione coi pazienti.
È come se egli dovesse esportare un modello funzionante, la propria capacità di riflettere e comunicare con se stesso, una sorta di deutero-apprendimento (apprendere ad apprendere).
Dice Symington: “la realtà intrapsichica, cioè la capacità di riflettere sulla propria esperienza, è anche una realtà interpersonale”.
È questa capacità a riflettere su di me, dentro di me, che mi connette comunicativamente al paziente fuori di me ed a stimolare in lui la sua riflessione su di sé.
Strumenti di questa comunicazione sono quindi gli “organi emozionali” sufficientemente sviluppati dalla pratica formativa: capacità di rêverie, empatia, intuizione, fantasia, investimento affettivo. Il processo non è la trasmissione passiva di qualità dall'analista che le possiede ad un paziente che non le ha. Esso è una sorta di attivazione in parallelo per simpatia di qualcosa che già c'è. E' una specie di comunicazione per induzione (come nel Rocchetto di Ruhmkorff).
Stiamo parlando di uno spazio di esperienza reciproca intensamente fusionale dove “paziente ed analista (Frederik e Felicity) che noi vediamo come due esseri separati, sono piuttosto persone partecipi di uno stesso medium”. La sottolineatura di questo “medium”, a me personalmente, sembra di estremo interesse perché apre l'indagine a nuovi e più complessi sovra-sistemi mentali, per esempio quelli dei gruppi, importati dai più larghi spazi topologici acquisiti; cioé su nuovi chi e nuovi dove. Ad esempio il chi della coppia, del gruppo, dell'istituzione, dei sistemi sociali come enti dotati di qualità individuative indipendenti, ed il dove delle complesse topologie elastiche dentro cui questi enti prendono nuove forme adeguate ai contesti che creano e da cui vengono poi ospitati. Anche Neville accenna a questo sovrasistema, per sottolinearne la comunicazione sintonica, quando parla di noi creature effimere contenute in un universo che ci trascende caratterizzato dalla permanenza. La mia mente è cioè effimera ma costantemente in comunicazione con una sua parte contenuta in un universo permanente: il medium mentale che caratterizza la comunità umana. Mi sembra ora di individuare anche in Neville un concetto che mi è chiaro: quello del Multistrato Complesso (Margherita, 2007, 2012).
Questo punto, a me personalmente, sembra di estremo interesse perché apre l'indagine a nuovi e più complessi sovra-sistemi mentali importati dai più larghi spazi topologici acquisiti; cioé su nuovi chi e nuovi dove. Ad esempio il chi della coppia, del gruppo, dell'istituzione, dei sistemi sociali come enti dotati di qualità individuative indipendenti, ed il dove delle complesse topologie elastiche dentro cui(3) questi enti prendono nuove forme adeguate ai contesti che creano e da cui vengono poi ospitati. Anche Neville accenna a questo sovrasistema, per sottolinearne la comunicazione sintonica, quando parla di noi creature effimere contenute in un universo che ci trascende caratterizzato dalla permanenza. Io sono cioè effimero ma costantemente in comunicazione con una parte di me contenuta in un universo permanente, la comunità umana. Mi sembra ora di individuare anche in Neville un concetto che mi è caro: quello del Multistrato Complesso(4).
Il quadro del nuovo “chi” multilivello, costruito dall'integrazione delle parti individuali, si chiarifica meglio nel terzo ed ultimo interrogativo che Neville ci propone “esiste un momento della guarigione?”. Il quando e il perché impliciti nell'interrogativo ci sottopongono questo nuovo soggetto multiplo e complesso, che, con un sistema dinamico di feedback evolve al suo interno le trasformazioni della traiettoria evolutiva del transfert-controtrasfert, cioè della sua relazione terapeutica. Direbbe un matematico(5), come un sistema mosso da un attrattore strano nel suo spazio delle fasi (o bacino d'attrazione), cioè nel suo setting collocato al livello topologico adeguato della topologia multistrato (cioé frammenti del sé, individuo, gruppo, ecc).
Questo nuovo protagonista, l'attrattore strano, è composto dalla integrazione delle relazioni dinamiche tra le sue parti componenti in cui, in fondo, non si riesce a capire chi sta curando chi e come, e come la cura ed evoluzione dell'uno sia indispensabile alla cura ed evoluzione dell'altro. Anzi forse sono la stessa cosa.
Tra le parti che relazionano i loro feedback all'interno di questo attrattore troviamo sia un giovane analista, proprio Neville, sia Rebecca, una psicotica paralizzata nella sua capacità di comunicare dal sentirsi costantemente percepita come una persona disgustosa. Lui a poco a poco, tra le allucinazioni di entrambi, la cura e lei comincia a realizzare che riesce a comunicare solo con lui nel ristretto spazio del loro setting (il bacino d'attrazione che permette di contenere l'evolversi processuale delle nuove traiettorie dell'attrattore strano costruito dai feedback della relazione transfert-controtrasfert).
Il giorno che Rebecca scopre che la propria grandiosità e quella di Neville sono la stessa cosa che copre il timore dei sottostanti deficit di entrambi, è quello in cui la loro dinamica interattiva è investita dalla intensità ambivalente del dialogo "mi hai insegnato a parlare solo col tuo meraviglioso sé". L'attacco invidioso è contenuto e smorzato da Neville perché egli riesce a cogliere, al di sotto dell'invidia, il dolore di un successo ancora parziale e la gratitudine per quanto fin'ora ottenuto. In fondo Rebecca anche se in modo ambivalentemente offensivo gli sta dicendo grazie perché lui l'ha messa in grado di parlare e di incontrare anche altri. Neville coglie la sua propria gratitudine per il regalo di guarigione che Rebecca sta facendo al suo valore di analista. Il riuscire a contattare questi sentimenti positivi, cioè la gratitudine che entrambi provano, è la cura che Rebecca fornisce a Neville per metterlo in grado di curarla.
Chi ha curato chi? Di chi erano le allucinazioni, la grandiosità, le carenze, l'invidia e la gratitudine? E' come se tutto questo provenisse da un unico recevoir fusivo messo in comune dal contesto affettivo del setting.
Il momento di silenzio pieno che si sviluppa sottolinea per entrambi, in una stabilizzante dimensione fusiva di comunicazione meditativa, senza parole, l'acquisizione del cambiamento. Non c'è bisogno di parole per sapere chi e come siamo ora!
Il momento della guarigione è allora quel quando in cui la fusione e lo scambio identificativo sono talmente forti che “lei ed io abbiamo condiviso il medium della comunicazione”; potremmo dire con Bion che c'è un unisono.
Allora, conclude Symington, “il momento della guarigione è quando questi due effimeri esseri umani, Neville e Rebecca, prendono parte al medium che entrambi condividono. Una volta che si comprende ciò, si capisce che affinché ciò accada è necessario che sia l'egotismo di Rebecca sia quello di Neville si dissolvano in favore del medium condiviso. Solo se io riesco a trasformare in me stesso questo egotismo sono in grado di essere per lei un agente di guarigione. Dunque, in realtà, lei deve gettarmi addosso questa dichiarazione come a dire: Neville solo se tu sai trasformare questo tuo egotismo sarai in comunicazione con me, così io devo lanciarti una sfida; se tu la raccogli, io posso essere guarita”.
Il momento di guarigione non appartiene allora né all'uno né all'altro, ma sta tutto nella capacità di integrazione dello spazio mentale del nuovo soggetto collettivo che li unisce.
Chi si occupa di gruppi riconosce che questo spazio mentale, in cui la coppia analitica si incontra e fonde, coincide con quello in cui un gruppo riconosce che la sua identità nasce come un unico fiume dalla confluenza dei suoi originari plurali. Il luogo degli assunti di base, delle fantasie inconsce, dei miti. È il luogo in cui persino la funzione dello sviluppare un pensiero collettivo (ad esempio una teoria scientifica) risulta incubata dalla sua propria capacità condivisiva di rêverie.
- ROMA, Letta al Centro di Psicoanalisi Romano 6/7/2013.
- Mi piace immaginare, in un arbitrario gioco metaforico, quest'incrocio come un accadimento su un piano complesso composto da un asse di fatti, parole (che possono essere espressi magari da numeri reali (razionali ed irrazionali), come ad esempio il π) e un asse che riguardi emozioni espresse magari da numeri i, cioè immaginari (√−1). L’equazione e/o il numero complesso che caratterizza il loro punto d'incrocio (ad esempio 3x2i) individua la grandezza che, moltiplicata per se stessa all'infinito, fa emergere lo spazio dinamico della simmetria di scala frattalica.
- I matematici potrebbero allora parlarne forse come frattali oppure spazio delle fasi.
- Cfr. G. Margherita: "L'insieme multistrato. Gruppi, masse, istituzioni tra Caos e Psicoanalisi." Armando, Roma, 2012. Cfr. anche il Sito: http://www.thecomplexmultilayerset.com
- Per chi volesse approfondire questi concetti matematici, consiglio Gleick (1987), “Caos”, Rizzoli, Milano, 2000.