Manicomio Addio!

Manicomio Addio!

Storia di un viaggio psicoanalitico dentro gli strumenti della psichiatria

Alpes, Roma,

2016

copertina manicomio

Varie voci narranti si intrecciano nel libro: la voce corale di un un manicomio, quella di una equipe multidisciplinare e quella di uno psichiatra-psicoanalista che raccontano a differenti livelli le loro esperienze trasformative, i loro ricordi e i loro vissuti di un’epoca eroica (quella della trasformazione della cultura psichiatrica dalla contenzione alla terapia) ad un gruppo di ricercatori attuali. Il discorso verte sul perché un approccio allora assolutamente d’avanguardia sia esitato nella stagnazione della psichiatria pubblica odierna percepita come molto meno “dinamica”. Quali varianti di climi ideologici e culturali, di contesti istituzionali e di motivazioni individuali ostacolano la possibilità di utilizzare le esperienze di allora nelle strutture attuali (diagnosi e cura, residenze protette, day-hospital, servizi territoriali). I loro racconti clinici evidenziano infatti metodi e tecniche psicoanalitiche per elaborare, nel drammatico contesto istituzionale di allora, una clinica multilivello che riguardasse sia i pazienti sia gli operatori sia l’istituzione stessa.
L’ouverture descrive un vero e proprio delirio, prodotto ed elaborato dal campo manicomiale in toto, dando un’idea di cosa sia un campo economico-culturale e quali eventi può essere capace di produrre quando esso assume la parola “delirante” in prima persona.
Il primo capitolo tratta la chiusura del manicomio come un’operazione non completata e l’entrata in clandestinità di quest’ultimo, come esso cioè, in vari rivoli, pervada la società attuale ed i suoi rapporti umani.
Il secondo capitolo recupera la memoria del rapporto dell’equipe terapeutica con i singoli pazienti curati e la sostituzione dei linguaggi della tradizionale cartella clinica con un nuovo sistema narrativo, coinvolgente il controtransfert, che lo rende simile al sogno.
Il terzo descrive le prassi cliniche delle organizzazioni gruppali che hanno portato avanti i progetti terapeutici condotti durante l’esperienza manicomiale. Questi erano tutti volti a favorire nei partecipanti il recupero della propria individualità, dei propri diritti e delle proprie scelte. I progetti raccontati sono stati:

  1. quello sul momento del risveglio e il riordinamento della persona,
  2. uno centrato sulla valorizzazione della capacità di uso del denaro per l’acquisto e di scambio,
  3. un progetto di osservazione-pranzo dei pazienti sulla falsariga della infant-observation psicoanalitica
  4. un progetto centrato sulla costruzione della rete comunicativa e sull’incremento del suo uso anche per favorire la costruzione di tutte le relazioni all’interno del Day-Hospital.

Il quarto capitolo descrive l’uso dell’assemblea come momento di partecipazione emotiva ed elaborazione collettiva per tutti i partecipanti.
Il quinto capitolo descrive come il nostro manicomio fosse ora in grado di esportare nel territorio le tecniche elaborate al suo interno. Ciò utilizzando noi stessi, suoi componenti, come identificazioni proiettive proposte al servizio di altre istituzioni in crisi. Per esempio sono raccontate la partecipazione al fianco di un paziente ad una riunione di condominio, interventi in ospizi per anziani o in case di ragazze madri oppure in zone terremotate (irpinia).
Nell’ultimo capitolo il gruppo di ricerca attuale scopre che il senso di questa sua operazione è l’individuare una Stele di Rosetta che permetta di tradurre un linguaggio dimenticato per poterlo trasmettere come operazione di rivitalizzazione attraverso una passionale rianimazione “bocca a bocca” dallo stato comatoso in cui versano alcuni servizi psichiatrici.
L’interrogativo: in sostanza può il recupero di una memoria esperienziale e professionale, oltre ad essere documento storico, risultare utile nell’attualità?