6 Maggio 2012 - intervento del prof. Guelfo Margherita
al Dibattito online dei soci SPI: "Psicoanalisi e Servizi, quale Incontro?"
(2/5/2012 al 10/7/2012, a cura di Giorgio Campoli e Francesco Carnaroli.)
Provo a rianimare il senso di stagnazione che mi dà un dibattito che ha attraversato con difficoltà la soddisfazione del nostro riuscito congresso ed il pudore sconcertato per i lutti del terremoto. Sento un coinvolgimento totale per il suo contenuto, tale da essermi sentito finora inibito a parlare.
Strutture psichiatriche e Psicoanalisi, attraverso la passione ed il valore della lotta per la libertà dell'uomo, sono stati i due interessi più forti del la mia vita professionale. Spero che ciò giustificherà in parte un mio linguaggio primitivo e violento; parlerò della fatica e della delusione; trovo che trasmettere il senso profondo delle emozioni, anche attraverso il linguaggio che si sceglie di usare, faccia parte del nostro mestiere.
Il senso di inutilità che provo mi presentifica un rapporto da rianimare, tento allora la respirazione bocca a bocca; una pratica per cui provo schifo ed eccitazione e che sospende con la sua ambivalenza le mie oscillazioni tra i contenuti di vita e di morte che il ricordo del manicomio ancora mi trasmette (i Servizi in fondo, come meccanismi, sono la sua continuazione attuale). Da allora data il mio tentativo di infondere nei polmoni il mio tentativo di comprensione psicoanalitica.
Il dolore di parlare in questa confusione è molto forte e sento che per me lo stanno facendo inascoltabili viscere di un fantasma antico. Allora lo spingere il mio respiro dentro l’altro è un atto di amore vitale che però necessariamente violenta i l nostro pudore dell’intimità, come forse sto spudoratamente facendo perfino ora tra di noi. Bisogna vedere se il gioco varrà la candela. E' il mio tentativo comunque di tenere in vita un rapporto ed un dibattito che ho paura possano spegnersi. Il pericolo è tale che ho bisogno di un movimento forte. Allora percuoto, da esperto rianimatore, il cuore del dibattito con quattro paradossi forti (in cui sono nascoste alcune verità).
- I Servizi di cui si parla sono organizzazioni il cui scopo precipuo è mettere in crisi l’identità personale e professionale di qualunque operatore che per qualunque motivo li attraversi. Scopo di un Servizio è infatti attaccare e soffocare quotidianamente la capacità di pensare.
- Servizi e Psicoanalisi sono organizzazioni psicofisiche plurali le cui sommatorie di forze vettoriali hanno risultanze assolutamente divergenti, accostarle in un'unica proposizione evoca la figura retorica detta ossimoro.
- L’attacco all’identità sembra così forte che l’ossimoro trascina in sacche di impensabilità le riflessioni sui servizi, patrimonio nascosto di un grande numero di psicoanalisti che quotidianamente li affrontano come problema magari sentendosene un po’ sminuiti. La scissione trova tra le sue cause contestuali: dolore, disconoscimento, fatica, precarietà, confusione, incoerenza, cioè l'annullare quella parte di se che resta dentro la psicosi dei pazienti e della istituzione.
- Non penso che un operatore singolo sia in grado di sopportare il peso di tali pressioni se non attraverso grandi scissioni che inibiscono la teorizzazione. Il singolo può sopportare solo pezzi di servizio. Il rapporto tra Psicoanalisi e Servizi può essere elaborato solo da entità gruppali, entrambi infatti sono entità plurali.
Provo ora ad immaginarmi l'incontro tra psicoanalisi e servizi come quello di un contenitore ed un contenuto plurali. Psicoanalisi ad es. sarà un insieme di teorie, persone, emozioni, istituzioni, etc.; servizi invece di burocrazia, strutture, economia, follia, ruoli, etc. Il primo paradosso è chi contie ne chi? Se sarà psicoanalisi a contenere servizi nella sua pancia l'atteggiamento sarà quello tenuto da una nobildonna che vorrebbe abortire il frutto di uno stupro etnico (anche se affascinata dalle potenzialità creative del mostro). Se sarà servizi a contenere psicoanalisi l'atteggiamento sarà quello di allevare un organismo, inutile gravame passivo, riconosciuto come assolutamente incapace ad aiutare la famiglia nelle sue future tribolazioni quotidiane per la sopravvivenza (anche se affascinata dalla sua seduttiva bellezza e nobiltà). La relazio ne tenderà ad essere comunque orientata dal più totale parassitismo.
Proviamo a guardare come una dimensione gruppale può eventualmente aiutare ad elaborare questa perversa relazione contenitore-contenuto.
In un gruppo di supervisione mensile, attivo da qualche anno, sei operatori psichiatrici di differenti Istituzioni Pubbliche analizzano il loro rapporto con gli eventi istituzionali: mobbing e burn-out appaiono come dinamiche del transfert/contro-transfert verso un istituzione che nullifica le persone e ne espelle i cervelli. In questo contesto l’aspetto didattico teorico dei miei interventi è spesso vissuto come uno stupro alle parti emotive del gruppo.
Marina porta il caso di una paziente che dice di essere incinta del diavolo. Rosemary è piccolina, una pancia tondeggiante come se veramente fosse incinta. Passando lungo il corridoio del CSM l’ho vista la prima volta. Un paio di occhiali scuri mi chiedono «qui c’è il Centro diurno» Tolti gli occhiali gli occhi verde smeraldo mostrano tutta la sofferenza. Dico «Se vuole può stare in nostra compagnia». Dice «Sento molto calore.... si può venire sempre? ... Sono separata, mio marito mi ha tradita e mi ha sempre nascosto tutto. Sono stata molto male, tuttora sto male. Sono incinta, sono incinta del male». La madre: «Ma tu lo sai che non sei incinta, è tutta una fantasia..» Lei sorride, si rimette gli occhiali scuri e dice «nessuno mi crede, ho tentato tre volte il suicidio. Non posso morire perché il male non lo può. Non troverò mai pace». Ho sentito allora una spinta ad accoglierla.
Guelfo: Credo che la paziente sta parlando di se come contenitore di un male e chiede di essere contenuta dentro di te, che chiedi di essere collocata dentro di noi. Una gravidanza frattalica in una serialità di pance. Una metafora per cercare di capire il senso e la traiettoria del nostro tentativo esorcistico di contenere nel gruppo il male della psicosi e dell’istituzione; a nostra volta contenuti in un campo istituzionale. Viene subito fuori la topologia multistrato della disposizione energetica delle emozioni coinvolte in questo sistema. L’ istituzione è nella nostra pancia e noi nella pancia dell’istituzione e tutto ciò avviene ora nella pancia del nostro gruppo; come se fosse una specie di anello di Moebius che guarda contemporaneamente l'interno e l'esterno. Chi è allora che sta dentro chi? Questa gravidanza è diabolica, persecutoria; cioè come questa istituzione mobbizzante che ci perseguita come un male inguaribile: ci stupra da fuori e ci abortisce da dentro. E’un multistrato; quali sistemi di relazioni ci sono tra le multi-pance e i multi-mali? La pancia dell'istituzione, la pancia della paziente, la pancia mia, la pancia di questo gruppo, la pancia delle altre gruppalità che possono essere la pancia della sua famiglia, la pancia di tutti questi sistemi che in fondo contengono una serialità di stupri e gravidanze maledette. Un
sistema di gruppalità concentricamente gravide. E chi è allora il diavolo? Il sistema viene mantenuto in fase da queste risonanze persecutorie a tutti i livelli, armoniche tra loro, come se la violenza fosse un attrattore frattalico che percorre le pance come uno spazio delle fasi: la tua, quella degli infermieri, quella dell’intera istituzione, quella del primario, quella della paziente, quella degli altri pazienti e quella di tutto il campo che risuona intorno a questi fatti che, seguendo la traccia significativa di questo attrattore, diventano il discorso-sogno della paziente che tu ci racconti. Il campo esprime come risultato, una realtà-sogno, con la risonanza circolare della sua atmosfera, perché in fondo è troppo complesso e non lineare per esprimere un pensiero logico. Esso parla insieme della paziente incinta del diavolo e di noi incinti di un’istituzione mortifera. Quando esso si purifica del caos e perde la pazzia, allora esprime un pensiero lineare che però non riesce a parlare la pazzia, ma solo di pazzia.
Loredana: «Ecco quello che non riusciamo più a fare, non riusciamo più a delirare, forse ci siamo perso il delirio».
Elisabetta: Mentre parlavate della gravidanza pensavo alla nausea profonda nei confronti della psicologia e della malattia mentale e dell’istituzione. Qualcosa si muoveva dentro di me, in termini di delirio-sogno, ma... non riuscivamo a toccarla questa pancia.
Guelfo: Buttiamoci nel sogno-fantasia della tua gravidanza, di quella della paziente e della nostra come gruppo. Allora è come dire «Guarda io ti capisco». Passare la comunicazione: «La tua gravidanza fantastica è la mia gravidanza fantastica (incubo l’istituzione nel doppio verso e nel doppio significato); perché noi qui siamo insieme tutti quanti dentro un campo gravido, gravido di male, che però cresce bene nell’intento di riuscire a sopravvivere e farci sopravvivere. Male della violenza...però contenuta bene. È come se noi, qui, gli dessimo una possibilità di rêverie .. in fondo la gravidanza è sostanzialmente una capacità di rêverie. Noi ora siamo orgogliosi di come portiamo avanti una gravidanza così dolorosa e difficile che ci struttura un’identità capace di difenderci dal burn-out.
Il gruppo produce poi pensieri, ricordi, emozioni sul male, la violenza del diavolo, lo stupro.
Elisabetta racconta che, al servizio, si sente violentata dal malessere invasivo degli accoppiamenti perversi riferiti dai colleghi con modalità violente: «Parlava e sputava.. e mi si avvicinava troppo, io mi scostavo con la sedia, lui continuava a sputare e a raccontare in maniera veemente. Si asciugava..sputando.. e continuava».
Loredana: «Sto male, mi sento malissimo...scusate. Lei sta esattamente dicendo quello che provo al lavoro. Mi viene da piangere....(piange). Mi sento vi olentata così dalla invadenza della collega che lavora a fianco a me».
Guelfo: considero il collegamento fusionale multistrato tra le pance violentate da questo male: quella della paziente, di Marina, dell’istituzione, di Elisabetta e Loredana, del nostro gruppo di supervisione. Come se, in questo campo, psicodrammaticamente, si riuscisse a trovare ed esprimere, attraverso il pianto di Loredana, il senso di questa violenza inesprimibile per la paziente e quello del mobbing agito dalla istituzione e forse dalle mie gabbie interpretative. Però, se riusciamo a farla parlare questa pancia, queste pance violentate, come abbiamo fatto, il dolore diventa dicibile. Come se stessimo elaborando, qui e ora, tutto questo campo istituzionale stratificato; il nostro gruppo come spaccato trasversale di tutto quello che è avvenuto ai vari livelli: quello che chiamo un transfert sincronico. Ma tutto questo è partito dal la pancia della paziente, dal suo racconto, e da come Marina, camminando per i corridoi, si è sentita di essere l’istituzione che doveva accogliere nella sua pancia questo male.
Loredana allora racconta un sogno:«una sua amica, arrivata all’ultimo mese di gravidanza, vuole abortire, lei è molto arrabbiata che si possa distruggere per rabbia e invidia un frutto così bello».
In istituzione lei ha abbandonato un progetto che la dirigenza non ha sostenuto; lei glielo ha allora sbattuto in faccia: «guarda come è bello il figlio che non vuoi».
Guelfo: considero come una nascita-progetto, ad ogni live llo del Multistrato, può avvenire solo in un’istituzione capace di rêverie altrimenti rischia un aborto.
Questo, nella presentificazione attuale multilivello del multistrato, è persino il mio timore sul possibile destino di questo intervento anomalo in un’istituzione dal gusto difficile.
Forse oggi, a vari livelli, abbiamo cercato una col locazione dentro cui l’istituzione ci possa far sentire che la famiglia riesce a tenere nella sua pancia la gravidanza, potenzialmente pericolosa, della tua pancia; che sia come un marito, una famiglia che appoggia un progetto creativo con una rêverie bonificante. La mancanza di uno spazio–pancia–famiglia è l’alternativa terrificante. Una istituzione può essere capace di rêverie? Di sognare con te e non agire un aborto. La rêverie in questo senso diventa qualcosa di protomentale, qual cosa che investe il corpo, e anche il concetto di gravidanza come luogo dentro cui un istinto può venire bonificato. E allora tu ti senti dentro un’istituzione che può sognare il futuro e vegliare la nascita di un bambino che ha un senso perché ha un padre, una storia familiare, un cognome che da un’appartenenza che lui continuerà. Tutto ciò gli viene da un oscuro lontano movimento di fondo e va verso un futuro per lui necessariamente differenziato.