29 Febbraio 2012 - intervento del prof. Guelfo Margherita
al Dibattito online dei soci SPI: "Istituzione, Gruppi e Alleanze Inconsce"
(1/2/2012 al 14/4/2012, a cura di Francesco Carnaroli e Claudia Pellegrini.)
Amo l'assunto di base quando da attacco e fuga si apre all'accoppiamento e alla speranza. E' questo che mi sento dentro ora connettendomi con il milieu eccitato che è contesto del nostro grande gruppo mediatico, all'interno della nostra associazione, all'interno della nostra cultura.
Amo anche il Caos, onnipotente risultato probabilistico di tutte interconnessioni possibili della infinita combinatoria di tutti i vertici che costruiscono la nostra polifocalità gruppale. Vertici di differenti individui, argomenti, teorie, ricordi, caratteri, studi, convincimenti di politica societaria, letture, responsabilità, emozioni, risentimenti e quanto altro.
Mantenere tutto questo ordinato è opera meritoria per conservare lucidità comprensiva agli individui , alle coppie, e al senso costruito con le loro connessioni lineari. Questo setting ideale è però fatto saltare dal tuffo nell'istituzione reale (Margherita 1997) e nel suo multistrato (Margherita 2007). L'istituzione è un setting caotico (Margherita e coll. 2010), il suo attrattore, sommatoria di quelli dei singoli vertici, è una qualità emergente. Non siamo noi a guidarlo ma, nella sua collocazione sovrasistemica, può andare, conducendoci con se (impotenti ed in genere incoscienti), nelle direzioni che sceglie lui (il sovrasistema istituzionale).
Scriverò allora di vari argomenti mischiati, non per scompaginare l'attento lavoro di Carnaroli, ma per abbandonarmi all’attrattore strano e all’andazzo caotico multifocale delle sue oscillazioni che caratterizza ora la nostra discussione. Ciò, confidando nella capacità elastica del nostro campo istituzionale e nella sua capacità bioniana del negativo per attendere, con pazienza, l'eventualità che egli (sovrasistema) sia capace di riordinarsi il senso di un "nuovo" emergente.
Non mi piace allora l’idea di essere a statuto speciale; mi suona di privilegio. Non siamo speciali, ma originali però si! Come ogni disciplina scientifica che individui universi, oggetti, energie, relazioni, strumenti per osservare e linguaggi per descrivere. La nostra complicazione è che ci occupiamo di un universo aperto, dissipativo, non solo vivente, ma addirittura pensante: cioè con possibilità di aprire la virtualità alla combinatoria infinita dell'immaginazione (Margherita 2005). L’oggetto in esso non è sottoponibile quindi ai vincoli dei controlli, verifiche e ripetizioni possibili come negli universi chiusi di cui si occupano gli esperimenti delle scienze sperimentali. È allora scienza? Forse si, se stiamo nei nostri limiti.
Entro in un problema per me attuale, sto scrivendo proprio ora il paper che porterò il 17-03 al Convegno sul Caos nell’Università di Barcellona, ad un uditorio di fisici, metereologi, economisti, cibernetici, neuro-scienziati, sociologi e psicologi nella migliore delle ipotesi cognitivisti. Altri psicoanalisti non mi sembrano interessati al campo dove provo a fare ricerca; per molti di noi sembra un ossimoro la psicoanalisi di gruppo.
Il mio contributo riguarderà stati mentali ed emozionali contenuti in insiemi umani. L’intento è fare capire che fantasie, assunti di base, sogni, emozioni, miti, appartenenti alle varie entità dei vari livelli (organi, individui, gruppi, società,cultura) si relazionino tra loro e si individuino singolarmente all’interno di un sovra-sistema multistrato, con modalità non dissimili da quelle delle stratificazioni presenti nel mondo fisico: es. tettonica a placche, reti neurali, risonanza magnetica o comunicazioni satellitari. Ad ogni strato pertiene un linguaggio individuativo specifico e proprio.
Penso che il problema sia far capire innanzitutto che stiamo parlando di due universi separati ed insieme connessi; quelli che possono condensarsi, confrontarsi e confondersi nel quadro di Magritte “Questa non è una pipa” che connette e spiazza il materico ed il simbolico attraverso l'immagine.
Un universo è quello del mondo fisico; nell’altro, quello psicoanalitico, un oggetto aleatorio pervaso da energie affettive è collocato in una tridimensionalità che è quella dei sensi, del mito e della passione (naturalmente ciò non esclude una "fisicità" diversa di queste dimensioni).
Sono possibili nessi ed interconnessioni causali tra questi due universi? La biochimica del senso della fantasia mi appare però come l’altro versante del sollevare tavolini spiritici.
Ma se parliamo di enti diversi in universi diversi mossi da energie diverse, cosa può accumunarci a coloro che si occupano di una scienza diversa? La risposta sta forse nell’individuare ombelichi, ponti, cunicoli, che connettano i due universi lasciandoli inalterati, permettendo però di cogliere analogicamente le trasformazioni topologiche delle sottostanti strutture logiche comuni. Ad esempio possiamo usare, per capire il nostro universo, i modelli dei fisici e vedere che funzionano? Forse possiamo usare anche i loro esperimenti e conoscenze, non come spiegazioni o conferme, ma come metafore da adattare per comprendere meglio la nostra; non lo facciamo già d’altronde con le interpretazioni? Un interessante esempio di rispettoso scambio interattivo è quello tra Jung e Pauli raccontato nel recente libro di Tagliagambe e Malinconico (2012).
Forse dovremmo confrontarci con le altre discipline con modestia per utilizzarne i modelli (già Freud lo fece con l’idraulica) ed usare i loro saperi come metafore. In questo senso alcune tra le nuove discipline offrono sconfinate praterie immaginative al tentativo che salva la nostra identità di fare scienza sognandola. Mi riferisco in particolare agli insiemi infiniti (vedi Matte Blanco), alla meccanica quantistica (Pauli e Jung); alla teoria del caos.
E veniamo all’ultima parte del mio intervento che riguarda appunto il caos e la modalità di contattarlo (per conoscere meglio il caos rimando i colleghi interessati al classico libro di Glieck uscito in Italia ne 2000); mi riferisco alla nostra condizione ora, in questo spazio e con questo medium. Premetto che sono profondamente grato alla nostra società per l’esistenza di questo spazio, e a Francesco Carnaroli in particolare, per il suo impegno a reggerlo, ordinarlo e stimolarlo; mi fa molta tenerezza il suo sforzo, spesso frustrato, di puntellarne i confini lottando con l’attrattore strano perché i contenuti non trabocchino dal caos alla confusione perdendo il determinismo. Io, per quanto mi riguarda, non mi sono mai sentito più a mio agio in altro nostro spazio societario. Qui si respira un clima di libertà, tolleranza e un tentativo di comprensione reciproca (vedi anche i contributi di Thanopulos e Lombardi). È questo che permette di contattare l’inevitabile caos e reggerlo con quella che Bion chiama la capacità del negativo.
Cerco di spiegarmi meglio: mi viene da pensare che lo spazio elettronico usato sempre più intensamente, tenda (e non è detto che sia male) a scappare di mano alle regolamentazioni e ad auto-costituirsi come un setting in cui differenti entità, a vari livelli istituzionali, esprimano in contemporanea differenti tipi di esigenze. Questo è naturalmente un setting gruppale, anzi direi che è quello che io chiamo un setting istituzionale caotico (Margherita 2010). Differenti argomenti, emozioni, esigenze, teorie, culture interagiscono in questo setting che diviene così un insieme di punti di vista, un bacino di attrazione caotico, uno spazio per incubare contemporaneamente livelli differenti di pensiero. Chiamo questa condizione polifocale "occhio della mosca" (Margherita 2008). Personalmente guardo con fiducia ad un caos in cui entrare con capacità negativa cercando di comprendere l’attrattore strano (che trasforma il caos in deterministico), senza avere naturalmente la minima idea di dove ci potrà condurre, ma con la solida fiducia che in fondo l’evoluzione sa, da milioni di anni, quello che fa.
Ed ora spazio ad una fantasia! Che ne dite allora, strettamente all’interno del prossimo convegno, di riservarci spazi di base per discutere informalmente di argomenti fuori scaletta e senza relatori scelti? Non sto proponendo un anti-storico anti-convegno ma uno spazio creativo libero ed informale in cui gestire il discorso spontaneo come questo spazio elettronico, da affiancare all'ufficialità, in cui goderci di persona, con odio ed affetto, il crescere dell’attrattore strano fino ad una possibile biforcazione. Potrebbe essere l'altra gamba, affettivo istituzionale, da affiancare a quella culturale, per sorreggere l’istituzione psicoanalitica, ammollarne quelle che ci viviamo come inibitorie rigidità e permetterle una più elastica capacità oscillatoria.