12 Marzo 2012 - intervento del prof. Guelfo Margherita
al Dibattito online dei soci SPI: "Istituzione, Gruppi e Alleanze Inconsce"
(1/2/2012 al 14/4/2012, a cura di Francesco Carnaroli e Claudia Pellegrini.)
Dunque Claudia Peregrini ci racconta che SPI, figlia ricca della ricca IPA, con problemi di adattamento alla Società Civile con cui riesce a comunicare più per osmosi da immersione che per linguaggio, si reca a consulto da un ben affiatato quartetto di specialisti.
Non mi interessa qui ora il discorso di contenuto, ma il contesto proposto che ci riporta all'origine del nostro dibattito ed al tentativo di scambiarci ipotesi per iniziare un discorso sulla possibile costruzione di una teoria psicoanalitica per pensare l'Istituzione.
Il primo punto per muoverci in questo senso potrebbe essere forse quello che le istituzioni vanno guardate come sovrasistemi gruppali tenuti insieme da stati mentali transpersonali condivisi che si trasmettono per immersione. Qualcosa di simile al super-organismo (la colonia) degli imenotteri sociali (Holldobbler e Wilson, 2008). Se noi come sottosistemi siamo in grado di illuderci di poter utilizzare le loro strutture per i nostri fini (come gruppo di lavoro da noi guidato) alla fine dobbiamo, a malincuore come individui, constatare che è invece il superorganismo istituzionale che ci immerge in stati collettivi che indirizzano i nostri comportamenti alla sopravvivenza del superorganismo stesso: utilizzandoci ora come operaie per il suo accudimento, ora come soldati per la sua difesa, ora come regine per la sua espansione futura (Margherita 2007). L'istituzione, come lo sciame, persegue il solo suo interesse sovrasistemico e noi come individui nella massa regrediamo ad uno stato di coscienza alterato (oceanico) in cui non perseguiamo più quello nostro individuale (Margherita e coll. 2010).
La domanda è: la psicoanalisi ha interesse, o meglio diritto/dovere, di indagare questi stati mentali collettivi, prodotto e milieu, entro cui nuotano e si definiscono poi i nostri stati d'animo individuali? Certo siccome oramai, per le note ragioni economiche, forse la maggior parte degli analisti dedicano la maggior parte del loro tempo al lavoro istituzionale (trascurandone però la teorizzazione), potrebbe essere utile, per poter meglio starci dentro, pensare alle istituzioni anche psicoanaliticamente.
E veniamo ora, come secondo punto, al collante che permea il milieu transpersonale forgiando l'unità istituzionale. Forse, come abbiamo visto, questo è l'emozionalità dell'assunto di base. Allora quali assunti di base parlano sulla Mailing List, utilizzando la nostra voce, quando l'istituzione sente attaccata la sua identità per esempio da Corbellini; oppure quando vogliamo proteggere nostre parti indigenti proponendo e approvando giustamente un fondo speciale; o ancora quando si discute su come e attraverso chi si propaga e genera la psicoanalisi e gli psicoanalisti (vedi ad es. la vicenda degli emendamenti sul training).
Personalmente penso, allora, che sarà piuttosto difficile darci una netiquette per dare una regolata di discorso che non è diretta a noi come persone, anche se i nostri personali caratteri ne divengono i veicoli ideali. Naturalmente non sto sminuendo l'aspetto gruppo di lavoro delle nostre comunicazioni, mi sto solo riferendo qui al surplus emozionale che rimbalza all'interno dei nostri confini e che è ciò che ci lega e ci fa scontrare rendendoci comunque un'unità sistemica.
Penso che oltre che impossibile sia anche non utile sterilizzare dalla "violenza delle emozioni" (cito l'ultimo libro di Civitarese) quello che mi sembra diventato un setting che, tollerando le paranoie gruppali, ci permette di cogliere, oltre agli umori individuali, anche quelli collettivi e di individuare così, attraverso una migliore conoscenza di noi e delle nostre idee differenti, linee e leadership per politiche psicoanalitiche differenziate magari utili allo sviluppo democratico di noi come gruppo di lavoro. Ciò darebbe senso al ritorno delle tanto auspicate liste contrapposte.
Ho parlato di setting. Penso naturalmente che per poter pensare psicoanaliticamente l'istituzione sia necessario renderla coerente con quelle che ritengo le "forme a priori" del pensare psicoanalitico: cioè il Setting, il Transfert, e l'Interpretazione. Tutto ciò può avvenire naturalmente solo se ci si rende conto che l'universo dell'istituzione è un nuovo diverso universo, sovrasistemico e multidimensionale, rispetto a quello degli individui e che l'espandervi dentro i nostri concetti tradizionali, perché essi non perdano il loro senso profondo, non può costringerli nel letto di Procuste di simulacri acriticamente trasportati in realtà che non possono contenerli e comprenderli. Essi vanno invece elasticizzati all'interno delle inevitabili trasformazioni topologiche coerenti per adattarli ai nuovi luoghi (come successo ad esempio per l'analisi infantile). Penso che non si possa pensare psicoanalisi nelle istituzioni prescindendo dalla complessità del campo dell'istituzione stessa.
Seguire queste elasticizzazioni delle variabili, conservandone le invarianti, adattandoci ai nuovi territori, diviene forse l'aspetto principale della ricerca psicoanalitica sulle istituzioni. Perché ad esempio il Setting istituzionale può essere caotico ma in senso deterministico? Perché il Transfert può divenire uno spaccato comunicativo sincronico tra gli accadimenti a vari livelli del multistrato (individui, gruppi, istituzioni, sociale)? Perché l'Interpretazione può essere il formarsi di una struttura (attesa con pazienza e capacità del negativo) che si dà, in forma linguistica o agita, come accadimento in un sistema complesso?
Questi qui, ora, sono solo accenni, che naturalmente non possono interessare tutti voi, per cui non mi dilungo e rimando gli interessati a continuare, se vogliono, ad indagare, come ho fatto io, questi aspetti attraverso la bibliografia già fornita (Margherita 2012).