Donare Parti per costruire Insiemi

Trasformare oggetti concreti (taonga), in legami affettivi (hau)

Intervento di Guelfo Margherita al Forum "il Dono" del 2-3/10/2014

Guelfo Margherita(1), Salvatore Rotondi(2), Federico Pone(2), Giancarlo Crispino(2), Prisca Palermo(2), Brigitta Buglione(2)


Mi accorgo che sto parlando nello spazio dedicato alla pratica delle organizzazioni e trasformo allora l’intervento che pensavo teorico, che avrei portato portato nella lingua complessa che caratterizza la mia disciplina (specie quando parla di Complessità); una lingua che non è quella propria nemmeno della psicoanalisi, ma è quella della teoria dei gruppi e ci dice: che cosa è un insieme? Come si forma? Perché si forma? Cosa ci si scambia? Qual è il limite di ciò? Magari queste cose le vedremo dopo come aspetti teorici.
Mi faccio allora portavoce dell’esperienza teorico-emozionale elaborata insieme al gruppo di ricerca sulle attività mentali dei sistemi umani complessi che ho fondato e dirigo(3), ed è organizzato e si muove costituito proprio con le stesse dinamiche economico-affettive che ha la circolazione del Dono nello strutturare le relazioni sociali.
Come l'operatrice della scuola per stranieri dell'intervento che mi ha preceduto, anche io parlo un'altra lingua che viene da un "prima" lontano; la chiamerei una lingua dell'emozione, e in genere le cose dette in questa lingua hanno degli elementi di spiazzamento data la loro provenienza. È una lingua molto antica che rischia di confondere e far arrabbiare chi non vi è abituato e vi ricerca la logica e l'utilizzabilità delle organizzazioni linguistiche “del fare” più moderne e concrete.
Voglio cominciare, usando questa lingua, a parlare della manifestazione che abbiamo incontrato uscendo per prendere un caffè. Era uno sciopero per il lavoro; persone che giustamente sentono menomato un il loro diritto, nell'ambito del circuito del dare e dell'avere, e protestano.
Credo che qui ci sia qualcosa di molto di più di quella che è la visione chiara e palese di una lotta di classe per gli esclusi dal mondo del lavoro. Il paradosso a cui stiamo assistendo ora, in tutto il mondo, è la prepotente e forzata esclusione di una larga fetta di lavoratori dal sistema di produzione. E questo è privare l'essere umano di un elemento importante della sua umanità, da noi perfino garantito dall'Art. 1 della Costituzione.
Credo che la dimensione a cui stiamo guardando (la messa in crisi della capacità di lavoro) riguardi, da un punto di vista psicologico, senza nulla levare a quello economico, la messa in crisi della capacità di fare un dono di sé; un dono di partecipazione alla costruzione del bene comune, il sentirsi soggetto attivo all'interno della comunità. Non è soltanto, da questo punto di vista, l'essere remunerato o meno, e con che tipo di remunerazione, quanto l'essere riconosciuto o meno come elemento di un insieme umano che contribuisce con gli altri al suo stesso funzionamento. L’essere privato, cioè, della capacità di donare una parte di sé per costruire questo insieme. Un uomo tra gli altri, nel senso pieno e riconosciuto della parola; cioè un cittadino che dona alla città se stesso e la sua forza lavoro per la costruzione della comunità di cui fa parte. Stiamo guardando il ponte che unisce l’alienazione psicologica a quella economica.
L'essere forzatamente esclusi da questo circuito produttivo, non solo di beni da vendere quanto di identità da vivere, produce una crisi, non solo economica ma di valori antropologici. Una crisi che oserei chiamare, capitemi bene perché non mi piace essere frainteso su questo argomento, una “crisi religiosa”. Intendo "religiosa" nel senso in cui la intende Bion; non nel senso corrente della parola che può essere sentito come politicamente bruciato, ma come un essere messo fuori dalla chiesa comune, costruita dalla fede nei valori comuni ad una civilizzazione: “ti sbattiamo fuori dalla nostra chiesa comune, costruita insieme, perché non sei più uno dei nostri, degno e capace di farne parte”.
Si va così incontro, ci sembra, a quel tipo di patologie, connesse con il disconoscimento e la negazione di identità, che hanno incontrato molti lavoratori o imprenditori che, con la ribellione suicida nei confronti del contesto che li fa ammalare, affermano di aver subito l'esclusione, si, dal mercato del lavoro ma, principalmente, dal senso della loro identità di persone; il valore del non essere più nel mondo con gli altri e come gli altri per il diritto a scambiare e far circolare il proprio dono di sé riconosciuto e il proprio prodotto per la costruzione del bene comune.
Paradossalmente anche la prassi di lavoro del nostro gruppo di ricerca come quelle appena descritte (la ricerca è il nostro prodotto comune), sembra ricalcare il circuito del dono. Nel nostro caso non vi è il riconoscimento di nessun legame economico (nel senso di monetario) che caratterizza le nostre relazioni. La nostra pratica è portare all'insieme le nostre qualità specifiche per come esse sono, metterle in comune e scambiarcele, ricevendone in cambio conoscenza ed identità. Un tipo di identità, una struttura dissipativa (nel senso di Prigogine) che si basa sulla convivenza, assorbimento e messa in circolazione del dono reciproco dei nostri portati.
La circolazione del dono si declina in tre livelli in successione: un dare, un ricevere e un ritornare (io, tu, noi) creando un flusso circolatorio continuo che si allarga nello spazio insieme all’economia e all’identità della tribù. Per quanto mi riguarda, oramai pensionato e al di fuori dei circuiti di produzione ufficiali, ancora capace però di pensare, dire e fare, dono queste parti di me al gruppo che contiene colleghi più giovani, con differenti livelli di esperienza, che a loro volta donano le loro capacità tecnologiche ed esplosività creativa per lavorare producendo e assemblando pensiero, esperienza, ricerca, pubblicazioni, costruzione del nostro team, redazione di un sito(4) che caratterizzano l’identità stessa del nostro team.
Al di là del lavoro, partito da posizioni asimmetriche, e divenuto gruppale, appartiene a tutti noi il “bene” di ricerca, cultura e identità che produciamo. Questo ritorno diventa la produzione del nostro lavoro scientifico insieme, che pubblichiamo insieme e, periodicamente, portiamo nelle sedi scientifiche. Questo è il tipo di esperienza che condividiamo. Ciò per rispondere all’interrogativo che ci siamo posti: che cosa c'entriamo noi col circuito del dono?
È chiaro che non è solo questo; questo è un esempio, nel là ed allora, che mi serve anche per mettere a fuoco l’attualizzazione nel qui ed ora del circuito con cui il dono del nostro “bene” si allarga e propaga, attraverso questo seminario, ad un più largo contesto fruitore ed in cui anche noi abbiamo ascoltato i doni degli altri.
È il sovrasistema “gruppo di lavoro” che, a un certo punto, acquisisce la forma di una entità, la quale possiede una propria identità, un linguaggio e una dimensione comunicativa propria, appartenente a tutti coloro che lo costituiscono; cioè, è come se si fosse costruita una rete dentro cui c'è una circolazione.
Ma cos’è che circola? Cos’è che ci si scambia? Stiamo guardando un doppio livello di costruzione: una circolazione di “beni” concreti ed una circolazione di significati simbolici. Cioè noi, sia come piccolo gruppo di lavoro sia come grande gruppo di questo seminario, ci scambiamo vissuti emotivi su quello che abbiamo trovato e costruiamo, per esempio, una teoria; poi c'è qualche cosa di più, che non ci sarebbe in assenza del primo livello. Qualcosa che ha a che vedere con la differenza che Marcel Mauss ci delinea tra il taonga e lo hau.
La circolazione e l’uso del dono concreto (taonga), diviene possibile per la circolazione della connotazione emotiva che esso rappresenta (lo hau) che costruisce il legame affettivo di scambio che contiene e dà identità alla rete comunicativa della tribù. Ci sembra che il taonga funzioni da significante per veicolare il significato dello hau costruendone il contenitore. È proprio una dimensione del genere che io credo sia capace di reggere lo scambio, il veicolo che permette, poi, di reggere contenuti. Lo Hau, veicolato dal Taonga, costituisce il tessuto, la rete sociale di riconoscimenti affettivi, che conferisce alla tribù un'identità.
Vorrei tornare ora, brevemente, ad alcuni concetti teorici non strettamente psicoanalitici ma appartenenti alla teoria dei gruppi a proposito del donare parti per costruire un insieme. La formazione di un insieme avviene partendo da uno stato caotico di materia ed energia, un coagulo multidimensionale che, per quanto riguarda la nostra disciplina, si estende negli spazi del fisico, del biologico e del mentale. Ma cosa succede in questo gran casino se vi si cala dentro un elemento organizzatore, una “griglia ordinante”? Possiamo iniziare a parlare, ad esempio, dell’emergere di strutture dissipative. Osservare cioè il formarsi, nell'interno di questo campo, degli aggregati che, assorbendo e drenando con l’esterno materia-energia, si incanalino nel processo di crescita che, caratterizzando i sistemi aperti, va dall’entropia all’informazione lungo la catena bottom-up: proteine – cellule – organi – individui – gruppi – istituzioni – sistemi sociali – cultura. Proprio questo movimento, ordinato in strati, crea i sovrasistemi e cioè quell’ordinamento che permette di passare dai sistemi più semplici ad una rete più complessa di sistemi coordinati e correlati tra loro. Così si costituiscono i gruppi: attraverso una concentrazione che raccoglie la confusione dal fuori dei confini dell’insieme per connetterla in legami di senso sempre più complessi, una volta ricondotta all' interno di esso.
Ma tutto questo a cosa mi serve? Perché? Quali sono gli organizzatori che noi introduciamo, individuandoli, in questo sistema? Se introduciamo in questo casino un codice genetico, come organizzatore, viene fuori un uomo che, poi, può crescere nel campo dell’humanitas e così via, salendo di sistema in sistema (gruppo, comunità, città, nazione, etc.). Ciò perché lo strumento organizzatore della formazione dell’uomo è il codice genetico umano, il gene. Allo stesso modo, il codice culturale potrà usare il meme(5) per costruire da una cultura insiemi culturali più complessi: ad esempio l’insieme infinito ed aperto della cultura umana.
In un insieme fisico, biologico e umano sempre più complesso e raffinato, come quello che abbiamo visto sino ad ora, ogni cosa forma legami con altro; come non esiste un sistema di organi sparsi, non esiste un sistema di uomini slegati gli uni dagli altri.
Quali possono essere gli elementi organizzatori che legano le comunità umane in reti sempre più complesse? L’antropologia ci suggerisce che elementi culturali di questo tipo potrebbero essere: la circolazione dei beni, la circolazione del dono, l’esogamia, la circolazione della parola.
È la circolazione dei beni l’argomento che noi stiamo guardando ora sotto la forma della circolazione del dono. Quello che riguarda particolarmente il nostro punto di vista non è tanto la costruzione di un sistema economico, quanto come la circolazione dei beni si faccia veicolo dello scambio affettivo che antropologicamente caratterizza la relazione sociale. Il dono quindi, come l’esogamia, la lingua, le idee, i concetti, la cultura e così via, è un organizzatore delle relazioni sociali; esso costruisce la rete che ha a che vedere, attraverso la relazione di scambio (che viene dal donante, dal ricevente e dal ritorno di questo processo su se stesso), con l’apertura e diffusione a sovrasistemi in continua crescita nella complessità.
Quindi questo sovrasistema, in crescita ed allargamento, è qualche cosa che tende ad organizzare sistemi identitari gruppali sempre più complessi; il dono è un elemento fondamentale della sua costruzione. Perché esso ha una doppia faccia: da una parte è, ad esempio, uno strumento concreto che ha uno specifico valore d’uso (taonga), connesso alla sua natura, nell’interno della comunità; dall’altra è il suo valore di scambio (hau), cioè la dinamizzazione che la sua circolazione inserisce nella costruzione della rete dell’insieme sociale. Il taonga diventa hau se è fatto continuamente circolare nella rete attraverso un continuo ed ininterrotto processo di scambio reciproco. Il valore sociale di legame sta nella capacità di questa circolazione di trasformare il desiderio dell'oggetto (per es. la voglia di rapina) in gratitudine per il dono.
Ciò che noi andiamo a guardare, derivandolo dalla narrazione degli antropologi, è il fatto che il taonga, l’oggetto materiale di scambio, quando non rimesso in circolo crea ingorgo ed impoverimento del sistema e diviene una mina vagante che può far scoppiare la società. Un esempio attuale potrebbe essere una banca che trattenga, nella sua cassaforte, ciò che viene accumulato e prodotto senza ri-erogare a valle il “dono” dei finanziamenti; quello che era prima un dono di scambio si trasforma (in questa verità emozionale primitiva) in una vera e propria bomba a orologeria. In ciò c’è l’intuizione che l’accumulo senza circolazione possa far scoppiare l’economia. Con buona pace per l’austerity.
Il valore dell’insieme tribale sarà la capacità di gestire la circolazione del dono non solo sotto l’aspetto della costruzione di una economia, ma anche per la salute mentale dei suoi appartenenti attraverso la costruzione e mantenimento di identità ed autostima. La regolazione cioè di una oscillazione tra l’oggetto donato (taonga) ed il suo valore simbolico (hau) per il legame affettivo tra il donante ed il ricevente; tra il desiderio cioè e la gratitudine. L’estensione della circolazione del dono diventa a sua volta un dono utile alla costruzione dell’unione e del legame identitario della tribù tutta.
Proprio questa costruzione del legame di tutto il gruppo è il “Vento”, lo “Hau della Foresta”, che tiene la Foresta unita e la fa essere un’entità sovrasistemica definita. In questo senso, il bene comune è “comune” perché non è di nessuno (come il Vento) ed è di tutti.
C’entra la terapia con tutto questo? Io, oltre ad essere un analista, sono un analista di gruppo e, proprio per questo, posseggo un tipo di impostazione diversa da quella dei colleghi, che si occupano di collettività solo come risvolto immaginario portato in setting molto più ristretti. Personalmente credo che avvenga terapia quando, ad esempio, all’interno di un campo gruppale di pazienti, o un campo istituzionale, l’attività che li coinvolge riesca a cambiare l’atmosfera del campo: cioè ad introdurre dei doni che creino legami facendo rete trasformandosi da Taonga in Hau. Ricordo quando entrai in manicomio come primario (immaginate cos’era un manicomio nei primi anni ’70: avete presente lo Zoo con animali che vanno avanti e indietro nelle gabbie? Così i pazienti, e gli infermieri che li sorvegliano per accertarsi solo che ad essi non venga un attacco furioso?). La prima cosa che feci fu portare un pallone per mobilizzare l’immobilismo e dissi agli infermieri: “ora noi giochiamo a passaggi e tiri in porta”; i pazienti si aggregarono. Quello fu il dono iniziale che riuscì a trasformare un’atmosfera avviando la de-manicomializzazione del Leonardo Bianchi, l’ospedale provinciale di Napoli(6); ciò attraverso il progressivo coinvolgimento di pazienti, infermieri, medici, burocrazie, città, politica e cultura, interconnettendole. La trasformazione di Taonga in Hau, in questa sequenza, è come la trasformazione di un pallone in Libertà. Se riesci a realizzarla standoci dentro, non ti senti escluso dalla tua chiesa, che stai costruendo insieme agli altri. Questa diventa allora un’atmosfera terapeutica per tutte le persone che a qualunque titolo operano e si scambiano doni in questo campo e, perché no, in questa foresta.

 

Note

  1. Psichiatra Psicoanalista SPI, Didatta IIPG, Direttore Scientifico Team Italiano di Ricerca sulle Attività Mentali degli Insiemi Sistemici Umani.
  2. Soci fondatori del Team Italiano di Ricerca sulle Attività Mentali degli Insiemi Sistemici Umani.
  3. Il Centro è il Team Italiano di Ricerca sulle Attività Mentali degli Insiemi Sistemici Umani, che studia le interazioni dinamiche dei campi emozionali stratificati.
  4. www.thecomplexmultilayerset.com
  5. G. Margherita, S. Rotondi, F. Verde, Massa protomentale e massa in assunto di base, “Koinos-Gruppo e Funzione Analitica” XXXI n.2, 92, 2010.
  6. G. Margherita, Il calcio alla gabbia. Un’istituzione psichiatrica come caso clinico, 10/17, Salerno, 1997